Gli attori

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Entrata nella Straferrara nel 2000 interpreta diverse parti.

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Entrato a far parte della compagnia nel 2000, in una parte che è il trampolino di lancio per i debuttanti, la parte dell’innamorato geloso nei “Scarpiun”.Ha una bellissima parte nei “I Vech Mat” (nella foto in scena) dove veste diverse parti comiche.

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Debutta nella Straferrara nel 1990, interpretando nel tempo innumerevoli rappresentazioni tra le quali “Avucat di povar”, “La Braghinara” e tante altre ancora.
Nella commedia “I Vech Mat” dove interpreta magistralmente la parte di un cameriere, mostra un altro lato di se, oltre che attore Sergio è un ottimo cantante, in questa commedia canta un brano di Frank Sinatra, My Way.

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Attrice tra le più giovani della compagnia, ha cominciato quasi per gioco per provare qualcosa di nuovo nel 1988, estroversa e bella recita in numerosi ruoli.
Oggi recita sempre più di rado a causa della distanza che la separa dalla sua città natia, Ferrara, si è infatti traferita a Udine docve oggi vive e lavora.
Ha recitato nella “Castalda” in occasione del 60° della compagnia, “La Braghinara”, “Galina vecha a fa bon brod”.

Grazie all’amico Stefano Duo, che già recita da diversi anni, ho conosciuto questa meravigliosa, storica compagnia.
Sono subito stata accettata dalla Sig.ra Faggioli che come prima commedia in assoluto mi ha fatto interpretare la “contessa” nella commedia: Un paes in tal baul.
Ora recito anche nell’avucat di povar e in galina vecia fa bon brod.

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Come tutti gli autodidatti che si rispettino, seppure di formazione teatrale, anche Beppe Faggioli ha iniziato facendo… tutt’altro. La prima vocazione era stata… per il bel canto: s’era accorto di avere una bellissima voce e sognava di fare il tenore leggero. Durò fino al ‘ 51, quando debuttò su una minuscolascena della provincia.
Dapprima – come richiedeva il copione – cantò ed ebbe applausi lusinghieri; in seguito, a richiesta del regista della Straferrara, impegnata quella sera nella stessa performance, si produsse in una piccola parte (in lingua italiana) in un ‘drammone’ di quei tempi. Furono applausi a scena aperta, ma… doppi rispetto a quelli ottenuti in precedenza: seguì l’immediato abbandono definitivo del bel canto e l’altrettanto immediato incontenibile amore per il teatro e la prima… unione con la Straferrara
Da giovane molti sono i lavori che come apprendista l’hanno visto impegnato professionalmente, non ultimo, quello a lui più forse caro come ricordo è quello di fornaio. “… Dovevo alternare – confessa – l’attività vera e propria che, si sa, si svolge per quanto riguarda la preparazione, prevalentemente di notte, all’inizio, con quella teatrale, con confusione e stanchezza davvero incredibili…”.
Ma per amore, cosa non si fa? E, infatti, è proprio l’ amore la scintilla che fa scattare in Beppe la passione di tutta una vita, un duplice amore: insieme con la Straferrara ha incontrato anche Cici, la ‘bambina’ della compagnia, ‘la figlia del capo’, Ultimo Spadoni; si innamorano e, dopo alterne vicende quelle di ogni grande amore contrastato che… si rispetti segue il secondo matrimonio di Beppe con la Straferrara e dal 1967, insieme con lei, ne eredita dal suocero, le redini. Degni continuatori, proseguono, con bravura e creatività, la vicenda teatrale della Compagnia: hanno il merito, tra l’altro, di avere portato il nostro teatro dialettale sulla scena di molte città italiane; oltre che attore, Beppe diviene capocomico e regista, a volte intervenendo anche sui testi con sempre nuove idee fino a ricomporli.
Riprende, con successo notevole, quella che fu una delle più significative interpretazioni del suocero, Piròcia – Spadoni era chiamato così addirittura per strada!! ma non solo: è unottimo Paulin Sganzèga, Casimìr, Nicola, Telesforo e molti altri.
È interessante riportare quanto aveva dichiarato, tra l’altro, Beppe circa dieci anni dopo l’ acquisizione della compagnia in un’intervista rilasciata a Roberto Salani, allora collaboratore del Centro Etnografico Ferrarese:

R. … Conosciamo molto bene il nostro pubblico.
Conosciamo i gusti del nostro pubblico, tanto è vero che quando noi dobbiamo mettere in scena una commedia, non dico al cento per cento, perché sarebbe presunzione dire che senz’ altro piacerà, però, conoscendo già i gusti del nostro pubblico, come dicevo, si ha, per lo meno, la certezza che il tipo di commedia, il suo soggetto, possono essere graditi al nostro pubblico. lo l’ho detto più volte, mi auguro di trovare dei copioni nuovi, più validi sotto il profilo letterario.
D. Tu da un copione, quindi, sai già se il pubblico affluisce o no, se la commedia piacerà, avrà successo?
R. Senz’ altro, una buona parte di sicurezza l’abbiamo.
D. Dal 1967 tu dirigi questa compagnia, cosa è cambiato nel modo di recitare?
R.Sono cambiate diverse cose, direi che una delle cose fondamentali è che il pubblico ha cominciato a seguirci maggiormente, perché guarda, quando io ho preso il teatro ‘in mano’ era un momento di… stanca.
Noi cosa abbiamo fatto? Non dico io, io sono stato, diciamo, il promotore, però ho avuto la collaborazione di tutti i miei attori, ‘in primis’, ovviamente, di mia moglie e, ad un certo momento, abbiamo portato il teatro ad un livello superiore rispetto a dieci anni fa, sia per ciò che riguarda la scenografia che la tematica, vista in funzione dell’ espressione, dei movimenti.
Una volta si recitava di più, in senso stretto; oggi, invece, al pubblico che cosa piace dell’ attore? La spontaneità.
Nel porgere la battuta al pubblico una volta, diciamo, c’ era più senso della recitazione. Oggi, invece, la battuta va più buttata via, è, cioé, meno elaborata: diciamo che la recitazione ha un ritmo diverso, è più spedita…”.
Anche oggi le sue idee innovative riferite a vecchi, seppur ancora validi copioni, risultano a dir poco strabilianti: nella recente ‘ripresa’ di “I du sgaltùn”, per esempio, un’opera che farebbe la gioia di studiosi del linguaggio teatrale per la straordinaria commistione di generi in essa racchiusa, Faggioli interpreta un vecchio pruriginoso che, per rincorrere una bella e giovin donzella, ne commette di tutti i colori: notevolissima la mimica, che ricorda molto da vicino quella del Signor Dick, il geniale quanto folle personaggio del “David Copperfield” di Charles Dickens nell’ edizione cinematografica di George Cukor, del 1934, reso magistralmente da Jessie Ralph.
‘Rammodernati’ pure gli inserti musicali dell’opera che molto ravvisa del meta-teatro, grazie ad interventi ‘dal vivo’ di Cici che, a sorpresa, arriva ‘sbraitando’ dalla platea e di Beppe che si rivolge ‘in diretta’ al pubblico, aggiornandolo sul prossimo ‘numero’ previsto in scaletta in quello che si può considerare quasi un musical ed in cui, nel naturale lavoro che normalmente svolge a quattro mani con la moglie, Beppe ha inserito addirittura un balletto di… suore, tipo quelli proposti in “Sister Act – Una svitata in abito da suora”, un film diretto da Emile Ardolino nel 1992 ed interpretato da Whoopy Goldberg
Come già si riportava nel capitolo riguardante Cici, si è parlato dell’ attività attori aIe anche cinematografica di Beppe: pure lui è apparso in quell’importante quanto ormai perso ruolo di caratterista in tutte le pellicole menzionate, a volte per interpretazioni di spessore e/o come comprimario: è il caso, per esempio, di “Le mosche in testa” del 1991, di Gabriella Morandi e Maria Daria Menozzi, una delle più impegnative e rilevanti o, ancor prima, di “Delitto di regime – Il caso Don Minzoni” di Leandro Castellani del 1973 o, nel 1969, di “Giovinezza giovinezza” di Franco Rossi, tratto dal testo omonimo di Luigi Preti, dove Faggioli interpreta il ruolo di un sarto, padre del protagonista Giulio.
“È stata un’esperienza molto bella – afferma Faggioli – e mi sono divertito molto, successivamente, a vedere il mio…funerale”. In una scena del film, infatti, si vede il funerale del padre di Giulio.

Nel 1970, oltre che a recitare in poco più che un cameo, benché importante, ne “Il Giardino dei Finzi Contini”, di Vittorio de Sica, già nominato a proposito di Cici, collaborò, come per molti altri film, per la ricerca delle locations e l’organizzazione del cast.
“In quell’occasione – ricorda Beppe – Vittorio De Sica affermò che Ferrara si prestava ad essere un grande set cinematografico” ( anche se altri grandi l’avevano preceduto parecchi anni prima, un nome solo basti per tutti, giovanissimo ‘proto-neorealista’, il Luchino Visconti di “Ossessione”, n.d.r.).
Il suo rapporto con il grande regista divenne molto stretto, quasi affettuoso: “… Ho un ricordo splendido di De Sica rammenta Beppe – un vero signore: non si dimenticò neppure di farm iun regalo il giorno del mio compleanno!…”.
È del 1992 la sua partecipazione ad un mediometraggio in video, di 45 minuti circa, diretto da Marco Felloni e da Rino Busi: si tratta de “Il mare”, storia scritta dal giovane gorese Rino Conventi, ispirata ad un racconto di Renato Sitti, ambientata a Goro negli anni’ 50, sceneggiata dallo stesso Conventi, fotografata da Carlo Magri.
Tornando un po’ più indietro nel tempo vale la pena menzionare il video “Un dolce, tacito, malinconico rifugio”, girato dal fotografo Roberto Fontanelli, tra il 1975 ed il 1979, un documentario su Ferrara e la Ferraresità tutta: oltre a bellissime immagini della nostra bella Città, della sua Provincia, del suo Delta, una interessante glossa sonora, non solo musicale, è composta dalle poesie e ‘zzirudèli’ in lingua dialettale di Alfredo Pitteri, Vito Cavallini, Giorgio Longhi ed altri recitate off, fuori campo, dalle voci degli attori della Straferrara; in particolare, una breve e significativa fiction vede Beppe in scena vetito da pellegrino che recita “Al bòn an” in ‘frarés’.
Da repertorio la sua comparsata, nel 1999, nel “Falstaff’ teatrale-lirico diretto dal regista inglese J onathan Miller e da Claudio Abbado alla direzione della Mahler Chamber Orchestra; pare che Miller non abbia avuto un solo attimo di esitazione nella scelta del personaggio, dopo il provino di Beppe tant’ è che, ‘si dice’, abbia esclamato: “È lui l’oste della Giarrettiera!!”.
Era Beppe, dunque, a portare la bottiglia di vin Xeres a Falstaff (il baritono Ruggero Raimondi) nel primo atto dell’opera ed ancora lui a servire il bicchiere di caldo nettare al cavaliere che doveva riprendersi dal bagno nel Tamigi che le Allegre Comari di Windsor gli avevano fatto prendere.
“Per i nostri …primi settant’anni – confidava Beppe di recente – rappresenteremo al Teatro Comunale di Ferrara (la splendida sede che ci é stata concessa come nelle altre nostre migliori occasioni, la “Castalda” del 1993, per esempio), una commedia ridotta ed interpre_ata da Ultimo Spadoni da un testo di Attilio Rovinelli tanto tempo fa, “Don Zzézar – Don Cesare”..
Ancora una volta, una sua/loro splendida ed intelligente operazione di re-maquillage crono-teatrale.
Molto deve a Beppe Faggioli la cultura dialettale ferrarese, per certi aspetti: parecchi anni fa salvò dal macero un patrimonio inestimabile composto da centinaia di copioni, la maggior parte dei quali mai rappresentati, di proprietà della Filodrammatica Estense di cui un’ordinanza del tribunale aveva decretato la definitiva distruzione.
“Dentro di essi – commentò anni fa in un’intervista fattagli da Dino Tebaldi – si trovano cent’anni del costume sociale, del dialetto e del teatro di casa nostra: una ‘testimonianza’ da salvaguardare e da valorizzare!…”.
“>Più che meritato, dunque, tra le decine e decine di molti altri riconosciuti alla Straferrara ed al suo fondatore e continuatori negli anni, il Premio alla carriera che l’Associazione della Stampa di Ferrara ha voluto tributare a Beppe Faggioli nel 1996.
La compagnia, nonostante ancora oggi, come più di trent’anni fa, sia ancora alla ricerca di una sede stabile, grazie agli ulteriori e continui sforzi suoi, di Cici e degli altri attori che da tempo ne compongono il cast permanente, è gloriosamente continuata nel tempo, reclutando tra le sue fila molti giovani, il Futuro, insomma.

Tratto dal libro di Maria Cristina Nascosi
I settant’anni della Straferrara
Piccolo percorso tra storia ed immagini di una compagnia teatrale dialettale

VI° volume di: “CÓM A DZCURÉVAN / COME PARLAVAMO”
Quaderni sulle fonti, le testimonianze, i testi della lingua,
della letteratura e dell teatro dialettali ferraresi
a cura di AR.PA. DIA. (ARchivio PAdano dei DIAletti)
del Centro Etnografico del Comune di Ferrara.

 

Beppe Faggioli ci ha lasciato il 26 settembre 2013.

Il ricordo di Alessandro Cattabriga attore della nostra compagnia.

“Dovete giocarla… ”
Dovete giocarla: così ci diceva spesso Beppe, quando alle prove vedeva che da parte nostra c’era un po’ di impaccio o sufficienza nel recitare, si Lui era un’artista nel giocarla la sua parte, non sprecava mai una battuta, un movimento, un atteggiamento; tutto era inerente e attinente alla cosa più importante che Lui desiderava: far divertire il suo pubblico.
Chi non ricorda le sue mani appoggiate alle labbra e poi lanciate là verso l’infinito per trasportare in maniera simbolica il suo bacio verso la platea della Sala Estense.
I ricordi che ho del regista/attore/commediografo Beppe sono tanti, mi scavalcano la mente uno dopo l’altro mescolandosi perché tanti sono stati i momenti trascorsi; in verità la mia appartenenza alla gloriosa compagnia Straferrara risale a pochi anni fa. Ricordo ancora nel 2000 quando con la parte dell’attor giovane feci la prima apparizione nei “Scarpiùn” e Beppe con la sua inseparabile compagna Rossana “Cici” Spadoni mi disse, con quel sorriso bonario che faceva sciogliere anche i ghiacciai del Polo Nord, che anche Lui aveva esordito con quella parte, quasi a darmi forza e coraggio, perché salire sul palco non è mica cosa da poco. Eh, ancora oggi prima di entrare in scena ho le gambe che fanno giacomo-giacomo.
Mi sono chiesto tante volte se anche Lui… beh secondo me anche Beppe un po’ di pipeta prima di entrare in scena doveva averla. Mi piace pensarla così, anche se poi non lo dimostrava, perché sul palco si muoveva con una naturalezza incredibile e poi “zó na batuda!” e il fragore delle risate riempiva la Sala. Tante sarebbero le cose, gli aneddoti da elencare per descrivere la PERSONA con un lato umano superiore alla media. Era disponibile ad aiutare tutti, aveva un sorriso per tutti, un “compagnone”, anche sul palco questa caratteristica si esaltava. Infatti la sua attenzione per gli “attori in erba” era generosa.
Altra cosa che mi piace ricordare è quando si lasciava andare a quei fuori copione denominati “soggetto”; beh, in quelle occasioni veniva fuori tutta la sua forza, la sua capacità, la sua qualità di vecchio attore, ovvero di grande esperienza. Chi non ricorda i duetti con Romano Masieri e con Franchina Fortini? Non ha caso ho indicato questi due attori, persone speciali, da poco scomparsi e con i quali ho avuto l’onore di recitare.
Ora Beppe quella frase la devi portare là dove sei andato. Perché? Perché è la tua frase e perché sei Tu Unico e Inimitabile. Ciao Beppe.

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Maestro elementare, recita nella compagnia dal 1995 ricoprendo diversi ruoli portando sempre ilarità e simpatia da parte del pubblico.
La grande passione lo porta ad interpretare alla perfezione qualsiasi parte.

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Ha debuttato ‘8 dicembre del 1995 nella Straferrara:
“Andavo sempre ad assistere alle commedie -racconta -. In particolare mi ero innamorata della ‘Castalda’. Pensavo ad ogni rappresentazione che mi sarebbe piaciuto moltissimo recitare... Poi venni a sapere che Silvia era un’attrice della Straferrara e mi informai. Così mi chiamarono alle prove e, da lì a poco, il primo spettacolo, a Migliaro”.
Oggi Maria Fonsati recita in nove commedie della Straferrara, impersonando molti dei ruoli di Cici Rossana Spadoni, una protagonista della compagnia teatrale citatissima nelle cronache degli Anni Trenta: all’età di cinque anni era infatti considerata una bambina prodigio, la Shirley Tempie italiana. ‘Cici mi passa le sue parti con tanta delicatezza, quasi fossero creature. Per me èun onore’.
Teatro, ma non solo: Maria nel 1997 ha partecipato come comparsa al film “lì testimone dello sposo’ di Pupi Avati, con Diego Abatantuono. “E’ stata un’esperienza entusiasmante!”, commenta Maria, la cui passione è veramente contagiosa:
“Recito alla Sala Estense tutte le domeniche da novembre a marzo, poi a Natale, a Santo Stefano e a Capodanno: non c’è festa che tenga. Anche quest’estate.. .tornerò dalle ferie il venerdì e il sabato sarò già in scena”. E ricordando che il 2 agosto la Straferrara con Maria e Silvia sarà in tournée a Bologna, con il pensiero subito corre a teatro: “E’ un’atmosfera elettrizzante. . . mi piace stare dietro alle quinte. Ma il momento più bello è quando si spalanca il sipario sul buio della sala: è un’emozione fortissima. Poi è tutta un’esplosione: di risate, di calore e di applausi”.

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Iniziò in una compagnia di operette come ballerina la compagnia portava il nome di Rosess.
Lasciò la compagnia per arrivare a Ferrara dove incontrai una compagnia teatrale chiamata Straferrara dove ho recitato in vari ruoli. Ha lavorato in diversi film di famosi registi, girati nella nostra amata Ferrara, tra i quali: Florestano Vancini, Pupi Avati, Antognoni.

Fin da ragazzo ho avuto la passione per il teatro dialettale ed era mio desiderio diventare attore. Nel 1975 cominciai a fare spettacoli con una compagnia di provincia, con questa rimasi 4 anni, dove con tanto impegno ed entusiasmo diventai un discreto attore.Capii che il tutto mi piaceva e divertiva, così pesai di fare un salto di qualità. Con coraggio mi presentai alla compagnia Straferrara, direttamente da Beppe Faggioli. Mi fecero fare un provino ed ebbi subito un ruolo nella commedia “I Scarpiun” allora facevo la parte di un giovane innamorato, ora nella stessa faccio la parte di un vecchio, ora e così succede in tante altre commedie.

Cominciai un periodo di grande soddisfazioni. Ancora adesso nutro lo stesso entusiasmo di allora e continuo a recitare con grande passione.
E’ bello far divertire il pubblico, ma anche per me è altrettanto bello ricevere calorosi applausi. Tanti anni sono passati, ma vorrei dare ancora tanto a questo teatro dialettale e al suo meraviglioso pubblico.
W IL DIALETTO

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Recita da diversi anni nella nostra compagnia, diversi i successi ottenuti. Il più importante e il premio come migliore attore durante il concorso “il Mulino sul Po'” tenutosi a Ro (FE) nell’estate del 2006.

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Uno dei capostipiti della compagnia ha recitato con la Straferrara per più di 30 anni, numerose le commedie e rappresentazioni che lo hanno visto protagonista indiscusso.
Romano ha fatto parte della vecchia guardia della compagnia insieme a Beppe Faggioli, ha recitato in molte commedie e nel 2002 viene consacrato protagonista nella commedia, Don Zeézar, in occasione del 70° della compagnia, recitando nella parte di un parroco di campagnia un po’ scomodo per una certa parte di quel piccolo paesino della provincia di Ferrara.
Nella foto insiema alla moglie Giorgia Gamberoni, anch’essa fa parte dalla compagnia da anni, anni d’amore conditi con tanta passione per la recitazione.

Da diversi anni nella compagnia, recita in diversi ruoli ma i meglio riusciti sono quelli in cui si cala nella parte della massaia ferrarese spesso irascibile e sempre in lite con il marito.
La ricordiamo anche nella parte della perpetua nel Don Zezar per i 70° anni della compagnia.

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Cominciò a recitare per vincere la timidezza. E per Silvia, che aveva soltanto 16 anni, fu subito un successo: Sembra che tu abbia sempre recitato, fu il commento degli attori della Straferrara. Con la memoria Silvia Soffritti ritorna al giugno del 1975, ma il ricordo è così vivo che sembra stia parlando di un fatto accaduto pochi giorni fa:
“Fu bellissimo! Avevo una paura folle prima di salire sul palco… Ma appena si accesero i riflettori ogni timore passò: ero a mio agio, mi sentivo realmente quel personaggio”. Un amore a prima vista, un debutto così felice che Silvia da 26 anni a questa parte non può più rinunciare al teatro, (vi ha coinvolto anche il marito e la figlia!). “Fu Cici Spadoni a chiedermi di recitare, secondo lei ero adatta a farlo. L’arte mi aveva sempre affascinato, ma ero molto timida: proprio per quello decisi di provare e trovai la mia dimensione ideale. “Agh mett la murdecia”, ‘La Castalda”, “I vecc matt’, “I puntagh ch’magna i gat’, “GIidei ad Pirocia’ e molte altre commedie – di cui conosce i copioni a memoria – sono entrate così a far parte della sua vita.
Labbra rosse e occhi vispi, mentre racconta Silvia si lascia rapire da trame e personaggi: la mi-mica del volto accompagna le battute in dialetto con una comicità irresistibile. Se il teatro in “frarès” resta al primo posto, Silvia si è cimentata anche con i drammi di Shakespeare e di Pasolini, recitando in lingua italiana nel ‘Processo a Gesù”. Un’esperienza che si aggiunge a molte altre che conserva’ nel suo “album dei ricordi’: le tournée a Cinesello Balsamo, nei dintorni di Milano, dove la Straferrara proponeva le sue commedie ai molti ferraresi trasferitasi là per motivi di lavoro; le serate all’Arena Nuovo, vecchia sede della compagnia teatrale; le trasferte in giro per la provincia ma anche a Bologna, Molinella, Fiesso, A Ficarolo. E naturalmente, come tanti flash, le decine e decine di personaggi interpretati nell'ultimo quarto di secolo: cameriere, bambine, donne fatali,… Ma fra tutti questi il suo ruolo preferito è quello di Nanda, nella commedia “Gli idei ad Pirocia”, al suo primo debutto nel 1975

Ha succhiato il teatro con il latte: affermazione sicuramente non azzardata, visto che papà Ultimo e mamma Teresa Bosi, tra parentesi compagna, anche sulla scena, del marito, tenevano la piccola dietro le quinte a portata di mano, tra una poppata ed… un atto, dentro una valigia di fibra imbottita di cuscini, come afferma Franco Zamboni in un articolo su ‘Cici’apparso su “Il Resto del Carlino” del 19 aprile 1990.
Già a tre anni calcava ‘personalmente’ e con smagata bravura – ma i cromosomi, si sa, non sono acqua – le assi del palcoscenico; appena cinquenne, il 3 febbraio del 1937, partecipò, cantando, al Teatro Verdi, a il “Lodovico… il Moro”, la terza edizione di una serie fortunata di riviste tutte incentrate sui fatti ed i pettegolezzi cittadini, scritta da Alberto ed Antonio Boari,. ‘Buarìn’ e Buaròn’, su musiche ed arrangiamenti del fecondissimo compositore, librettista ed anche commediografo in lingua dialettale, il Maestro Carlo Otello Ratta, diretta ed interpretata anche da Angelo Aguiari, ‘Anzulón’, scrittore, poeta, nonché musicista e suonatore di organo a pedale e ukulele, ‘colpevole’, tra l’altro, di aver fatto apprendere al giovane Michelangelo Antonioni l’amore per il jazz ed il teatro.
In quel contesto Rossana, in frack e gardenia all’ occhiello, come la raffigura una foto di scena, cantò con la sua vocetta “Conosco una fontana”, un fox-trot di Ristori e Veroli. Il successo fu tale che da allora Rossana, ormai per tutti ‘Cici’, fu chiamata a recitare ed a cantare nei teatri di mezza Italia e nei salotti dei vip ferraresi dell’ epoca.
Un episodio la dice lunga in merito: la ‘paga’ di Cici, allora, era già di cinquecento lire, cifra enorme per quei tempi, se si considera che gli attori professionisti percepivano venti lire.
“Ricordo che in quello stesso periodo – racconta con un lampo di malizia e di affettuosa memoria – recitai con la mia compagnia (di cui era la ‘titolare’, come da …carta intestata, n.d.r.) a Tresigallo, nella residenza dell’allora ministro della Agricoltura, Rossoni e, tra l’altro, intonai una canzone tanto in voga, “Se potessi avere mille lire al mese”: beh, al termine della mia performance – circa una decina di minuti -le raccolsi puntualmente”.
Quando il fascismo impedì l’uso della lingua dialettale in scena, si dovette ‘ripiegare’ sul teatro tradizionale in italiano: fu così che ‘Cici’ venne definita la ‘Shirley TempIe italiana’, soprannome anzi scutmai che non si tolse per molto tempo di dosso.
“Il mio cavallo di battaglia era l’atto unico di Eligio Possenti, i “Fuori dal nido” dove “, interpretavo una bambina che, fuggita dal collegio, si recava sulla tomba della madre morta un successo di… lacrime incredibile” – ricorda ancora – “Alternavo recite a teatro con quelle a favore dei militari, anche in città come Pola, considerata zona di operazioni”.
A questo proposito vale la pena di riportare alcuni brani di una recensione che nel 1942 Flora Antonioni scrisse su “Il Carlino della Sera” ‘per ‘Cici’ definendo la, oltretutto, un’ attrice nata, un’ italianissima stella’:
“… Anche la piccola ‘Cici’ Spadoni, ferrarese, che ho conosciuto in questi giorni a Roma, al Teatro delle Arti, e che
ho ufficialmente intervistata come una diva in grande stile, sa ballare e cantare; ma sa fare anche altro: può farvi nascere negli occhi quel paio di lacrime di cui parlavamo sopra. Ne sa qualcosa il mio vicino di sinistra, un distinto signore già brizzolato, che, dopo inutili sforzi, si decise a lasciar uscire senza vergogna la propria commozione, sotto forma di lacrime. Noi donne, si sa, siamo facili alle lacrime, ma tu, piccola Cici, fai piangere gli uomini! Eligio Possenti ti ha prestato, con l’atto unico “Fuori dal nido”, uno strumento di commozione che tu hai maneggiato con bravura straordinaria: siamo venuti tutti con te a portar garofani rosati sulla ‘casetta bianca’, nello strano villaggio pieno di croci, dove dormiva la tua mamma, quella della commedia, s’intende, ché la tua mamma vera era lì accanto a te, a farti il viso burbero, in veste di direttrice del collegio dove tu vivevi, chiusa in un tuo piccolo immenso mondo di sogni… Maliziosa e patetica, dolce e umana… Che sei tanto brava, lo hanno detto tutti, perfino i critici, così poco teneri per solito, i quali erano venuti per giudicare la vostra recita. Dico la vostra, perché tu, il tuo papà, la tua mamma e tutti gli altri bravi attori della tua compagnia erano venuti a Roma per partecipare al concorso tra compagnie minime di prosa; e tu rubasti loro, senza volerlo, un po’ di applausi…”.

La piccola Cici Spadoni durante la recita a Tresigallo in presenza dell'allora Ministro dell'Agricoltura Rossoni
La piccola Cici Spadoni durante la recita a Tresigallo in presenza dell’allora Ministro dell’Agricoltura Rossoni

Decine e decine sono i ruoli interpretati da Cici negli anni della sua infinita carriera, ma è forse al periodo degli anni’ 50 che, in qualche modo, lei ammette di essere più legata e di avere avvicinato i personaggi che le hanno dato le maggiori soddisfazioni.Uno di essi è sicuramente quello di Veronica, la bigotta in “Tre gati da patnàr”, di Augusto Celati. Tra i quattordici ed i quindici anni, poco più che adoloscente, subito dopo la guerra, aveva recitato in “Scampolo” di Dario Niccodemi e in “A la partigiana”, di Alfredo Pitteri; molto caro è, all’artista, il ruolo di Rossana (il suo stesso ‘vero’ nome…), appositamente ideato per lei, allora diciottenne, sempre da Pitteri e, ancora, quello di Eva in “Al diàvul l’è ‘na fémna”, più che mai scritto ‘su misura’ per ‘Cici’ da Werther Marescotti, visto che, poi, nessuna più lo interpretò.
A chi scrive piace ricordare anche una parte tenerissima, sostenuta da Cici come ‘fata buona’ in “La fòla d’un piazzann su la vié granda”, un testo drammaturgico per bambini redatto appositamente dal medico-scrittore Giorgio Golinelli, il nostro autore dialettale vivente più grande oggi.

Da non dimenticare che, come il padre Ultimo e con il marito Beppe Faggioli, Cici Spadoni è spesso interprete cinematografica e televisiva, in ruoli di caratterista, genere attoriale purtroppo ormai perduto ma importantissimo, a volte più di quello di protagonista.
Ogni volta che nella nostra città si gira un film e Ferrara torna ad essere la città-set per definizione – un appellativo quanto mai giusto per i suoi scorci, i suoi palazzi, le sue vie rossettiane che Burckhardt aveva descritto così scenograficamente come ‘lunghe e diritte’ – entrambi, oltre ad altri attori della Straferrara e di altre compagnie dialettali ferraresi come il Teatro Minore, vengono ‘reclutati’ per far parte del cast.
Iniziano verso la fine degli anni’ 50 le loro prime apparizioni: è del 1959, infatti, la loro partecipazione a “La lunga notte del , 43” di Florestano Vancini, tratto liberamente da “Una notte del , 43”, una delle “Cinque storie ferraresi” di Giorgio Bassani; il 1970 è la volta de “Il giardino dei Finzi Contini” di Vittorio De Sica, ancora una volta liberamente trasposto dall’ omonimo romanzo di Bassani, pellicola da cui lo scrittore, come per il precedente, volle prendere ‘alcune distanze’, essendo stato lui stesso sceneggiatore e, forse, proprio per questo ‘critico’ nei confronti dei testi che dalle sue opere prendevano spunto.
Nel 1971, dopo lo sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi “Il mulino del Po”, dal romanzo di Riccardo Bacchelli, che vide tra gli interpreti un grande Ultimo Spadoni, come già accennato nella pagina che lo riguarda, Cici e Beppe presero parte a “La vela incantata” di Gianfranco Mingozzi; nel 1987 si cimentano ancora con un film ‘letterario’, ‘ancora’, inutile dirIo, Bassani: “Gli occhiali d’oro”, per la regia di Giuliano Montaldo in triplice coproduzione italo-franco-inglese (il cast internazionale comprendeva, tra gli altri, Rupert Everett e Philippe Noiret, n. d. r.).

CIci Spadoni fra gfli autori e
CIci Spadoni fra gli autori e promotori per lo spettacolo per le Forze Armate al campo di Poggio Renatico – 9 maggio 1941

Nel 1990 partecipano, anche se solo in veste puramente organizzativa (cast, locations, etc.), alla lavorazione del film “In nome del popolo sovrano”, del regista romano per eccellenza, Gigi Magni.
Tra il 1994 ed il 1995 Michelangelo Antonioni, nel suo penultimo lavoro a sei mani svolto insieme con Tonino Guerra e Wim Wenders, “AI di là delle nuvole”, conta tra le fila dei suoi attori Cici e Beppe, benché per una breve apparizione, quasi un ‘cameo’. Ricorda Cici: “… Avevo il terrore che ricapitasse quanto era successo per “Gli occhiali d’oro”: avevo dovuto studiare una battuta in inglese per recitare con Rupert Everett e, alla fine, mi
sono vista sullo schermo …muta e ripresa solo di spalle!!”.
Delusioni che la Spadoni ha dovuto subire varie volte, nel corso della sua lunghissima carriera: “…Rammento, nel 1991, “Le mosche in testa”, una pellicola di Gabriella Morandi e Maria Daria Menozzi: la mia parte era piuttosto importante ma, in fase di ‘decoupage’ e montaggio, divenne come la precedente del film di Montaldo, pressoché irrilevante…”.
“… Ma un ruolo notevole – continua nel suo ‘ritorno al passato’ Cici -l’ho sostenuto in “Il. mondo alla rovescia”, della regista rodigina Isabella Sandri, nel 1995, riproposto qualche tempo fa sugli schermi italiani che, aveva pure partecipato al Festival di Cinema delle Donne di Firenze…”.
Molti ancora sono i ruoli, le partecipazioni di cui si potrebbe parlare che riguardano Cici: eppure lei non si è mai ‘montata la testa’, anzi, in una intervista di alcuni anni fa, ammise con schiettezza di essere rimasta attaccata soprattutto al teatro dialettale per passione, grande passione, anche se… ‘domestica’.
Decise, infatti, per libera scelta, di diplomarsi in pianoforte e di dedicarsi, a livello professionale, all’ insegnamento della musica nelle scuole medie, continuando a recitare in lingua dialettale nel suo piccolo-grande entourage affettivo-drammaturgico che è la Straferrara.
Quando non solo i cromosomi ma anche la classe non è acqua…

Tratto dal libro di Maria Cristina Nascosi
I settant’anni della Straferrara
Piccolo percorso tra storia ed immagini di una compagnia teatrale dialettale

VI° volume di: “CÓM A DZCURÉVAN / COME PARLAVAMO”
Quaderni sulle fonti, le testimonianze, i testi della lingua,
della letteratura e dell teatro dialettali ferraresi
a cura di AR.PA. DIA. (ARchivio PAdano dei DIAletti)
del Centro Etnografico del Comune di Ferrara.

Ultimo Spadoni
In una foto del 5 aprile 1935

Il suo nome è legato al teatro dialettale e non ferrarese, dai primi del secolo scorso, in maniera indissolubile e da più parti lo si prenda in considerazione: lo si evince, facilmente dal capitolo che ci si è appena lasciati alle spalle, lo si estrapola dalle vicende di ogni compagnia che abbia lasciato dietro sé un segno del proprio passaggio e dalle ulteriori peculiari note che seguono.
Poi, un giorno, Ultimo Spadoni decide di crearne una tutta sua: nasce così la Straferrara.
È stato il padre spirituale e… ‘letterale’ della Compagnia.
Era nato nel 1891 ed aveva iniziato giovanissimo la sua carriera teatrale: a sedici anni interpretò il ruolo dell’ Abate Faria ne “Il Conte di Montecristo”.
Il suo primo palcoscenico fu quello del collegio dei Salesiani di Via Brasavola a Ferrara.
Nei primi anni del ‘900, per soddisfare la passione dei ferraresi di allora per il buon teatro in lingua italiana, si formò la Filodrammatica “Città di Ferrara”, con sede presso il teatrino cosiddetto Filodrammatico di piazza Sacrati, quello che poi sarebbe divenuto il cinema Capitol.
La compagnia ebbe un successo strepitoso: pare effettuasse allora cinquantaquattro recite l’anno! Ma non solo: poteva contare su circa quattrocento tra soci effettivi e sostenitori.
Dotata di una organizzazione, per allora, all’avanguardia e completamente indipendente, aveva come presidente Giuseppe Longhi, giornalista di fama, in quel tempo ancora studente universitario.
Più tardi, nel 1916, il pubblico ferrarese si… differenziò: a ‘richiesta’, dunque, di una drammaturgia in lingua dialettale, un gruppo di attori della “Città di Ferrara” costituì la “Filodrammatica Estense” che ebbe prima la propria base presso il Teatro del Soldato di via Palestro, grazie all’aiuto del colonnello Fuscaldo, ed in seguito presso il Teatro Pepoli, di via Contrari, dove una vasta ed elegante sala venne adibita a luogo di prove.
Tra i fondatori ritroviamo Ultimo Spadoni, mentre tra i direttori artistiCI SI possono annoverare nomi come Angelo Aguiari – ‘Anzulón’, di cui si farà cenno, ancora, più avanti nel testo – Rolando Boscoli, Alberto Goldoni, Alfonso Makain, Sioldo Puttomati, Renato Tranchellini.
In mancanza di testi originali teatrali in lingua dialettale ferrare se, in quegli anni, l’Estense si basò su opere in traduzione – o, forse, sarebbe meglio dire, interpretate, adattate e/o ridotte da lavori preesistenti di autori non locali; uno dei principali intellettuali che, all’epoca, collaborava in questo senso, ma anche originalmente, fu il valente medico-psichiatra Nando Bennati, presidente per anni della stessa Filodrammatica Estense e della Corale Orfeonica.
Tra i suoi drammi in italiano ed in lingua dialettale, molti dei quali adattati da lavori di Selvatico, Testoni, Novelli e Gallina, conta un grande successo, “Un colp ad striss”, rappresentato per la prima volta nel febbraio del 1932 al Teatro Comunale di Argenta; scrisse anche sotto gli pseudonimi di _ Galéno o Nino Bannenta; fu, ecletticamente, poeta, saggista, cri- !I tico musicale e giornalista, anche per il Corriere Padano, divenendo noto anche in campo nazionale.

Romana Vecchi Simoni, Ultimo Spadoni e Athos Pirani in "Gli idèi a Piròcia"
Romana Vecchi Simoni, Ultimo Spadoni e Athos Pirani
in “Gli idèi a Piròcia”
Ultimo Spadoni protagonista de "gli idèi ad Piròcia" di Augusto Celati - anni  1947 - 1948
Ultimo Spadoni protagonista de “gli idèi ad Piròcia” di Augusto Celati – anni 1947 – 1948

Anche Ultimo Spadoni, oltre che attore, ‘tradusse’ drammi redatti addirittura in altri dialetti, traendo, come lui stesso ebbe a dire, molta soddisfazione anche in questo campo: suo è l’adattamento, dal milanese, del “Don Zzézar”, di Attilio Rovinelli, la commedia del Settantesimo della Straferrara, ‘ripresa’ e, ancora una volta, riammodemata da Beppe Faggioli e rappresentata al Teatro Comunale, ex-novo il 29 gennaio 2002.
Oltre che essere uno dei fondatori, come detto, della Estense, l’artista ebbe modo pure di militare nella Filarmonica “Città di Ferrara”: assieme all’amore per il palcoscenico, dunque, Spadoni ha trasmesso alla figlia Rossana anche quello per la musica, come vedremo poi.
Nel 1923 venne dato l’avvio, come s’è visto, ad una _ autentica produzione di commedie originali in lingua dialettale ferrarese ad opera di Alfredo Pitteri, autore di “Adio,Rusìna”, rappresentata il 23 marzo dello stesso anno al Teatro
del Soldato del Quattordicesimo Reggimento di Artiglieria in via Palestro di cui sopra.
E fu ancora proprio con un’ altra commedia di Pitteri che Spadoni fece esordire la finalmente sua compagnia, Straferrara, il 3 settembre del 1931 al Teatro dei Cacciatori di Pontelagoscuro, dal titolo “Pàdar, fiòl e… Stefanìn”, cui fece seguito, more solito teatrale da allora in poi, la farsa, sempre di Pitteri, “L’unich rimèdi”.
Circa un centinaio i ruoli interpretati dall’ Autore nel corso della sua lunga e variegata carriera anche se, per sua stessa ammissione, quello a lui più caro fu quello di Piròcia, il personaggio inventato da Augusto Celati ne “Gl’idèi ad Piròcia”, riproposto per più di trent’ anni e per oltre mille rappresentazioni.
Spadoni, nella sua lunga carriera, ha fatto conoscere, particolarmente e ‘giustamente’, con la Straferrara il nostro teatro dialettale fin nei più lontani paesi della nostra provincia e ha portato tale genere di spettacoli ai pubblici delle province emiliane di Bologna, Modena, Parma, Rimini, Ravenna, affermandosi ripetutamente nella rassegna che aveva sede a Faenza, mietendo i più lusinghieri successi, come riportato più per esteso nel capitolo riguardante le origini della Straferrara.
Era uscito, per l’ultima volta, dalla “comune” del palcoscenico del Parco Massari una sera di agosto del 1964, a
settantatre anni, salutato dai suoi affezionatissimi fans che, ancora una volta, avevano apprezzato l’ interpretazione del ‘suo’ Piròcia.

Ultimo Spadoni, Giuseppe Simoni, Beppe Faggioli e Olivo Ardizzoni, in arte Zurzin, nel film "La paternicilina" di Adolfo Baruffi
Ultimo Spadoni, Giuseppe Simoni, Beppe Faggioli e Olivo Ardizzoni, in arte Zurzin, nel film “La paternicilina” di Adolfo Baruffi

Il cinema aveva visto Ultimo Spadoni nel 1955, tra gli interpreti di “Paternicilina” , un film girato tutto in lingua dialettale ferrare se dal documentarista e critico cinematografico Adolfo Baruffi, collega anche di Florestano Vancini, assieme ai maggiori attori dialettali di allora, il già nominato Sioldo Puttomati, Mario Bellini, Franco Pelagatti e Giuseppe Simoni: un hapax di cui, purtroppo, non resta più alcuna traccia.
Il soggetto della pellicola era basato su di un copione originale di Augusto Celati, “La colpa ad ciamaràss Pifani”, ancora oggi rappresentato dalla Straferrara, che per la sceneggiatura aveva lavorato a quattro mani con lo stesso Spadoni.
È la storia di un improbabile venditore ambulante che, grazie a particolari pillole da lui offerte con effetti a dir poco
miracolosi, consentiva a chi le assumeva di venire a conoscenza del nome del proprio vero padre, in casi… sospetti
soprattutto, visto che esso appariva, non si sa come, sul petto della… madre.
Il film era stato girato a Ferrara, in esterni per la strada ed all’interno del Teatro Comunale.
Il suo limite fu il mezzo linguistico usato: l’idioma dialettale ferrarese non era dei più conosciuti e, per di più, allora, non ci si pose neppure il problema di sottotitolarlo, comeaccade più di sovente oggi, anche per testi filmici non solo
stranieri ma che riportano parti in vernacolo.
“Paternicilina”, pur realizzato per intero, non apparve mai sugli schermi cinematografici e, tantomeno, poté circuitare, così se ne perserole… tracce.
Anche la televisione aveva ‘irretito’ nelle sue maglie, nel 1963, la Straferrara tutta ed Ultimo Spadoni in particolare: li si ricorda ne “Il mulino del Po”, sceneggiato tra i migliori del regista Sandro Bolchi, tratto dall’ omonimo
testo letterario di Riccardo BacchelIi.
Segni, Presidente della Repubblica, aveva insignito Ultimo Spadoni della onorificenza del Cavalierato.

Il cav. Ultimo Spadoniin una delle sue ultime foto di scena
Il cav. Ultimo Spadoni
in una delle sue ultime foto di scena

L’Agis l’aveva premiato per i cinquantasei anni della sua vita che aveva voluto dedicare all’ attività teatrale.
E’ mancato al suo pubblico ed alla sua Straferrara ai primi di dicembre del 1972, all’ età di ottantuno anni.

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Inizia nel 1992 con la parte dell'innamorato geloso nella commedia "I Scarpiun".
Ha partecipato alla Castalda nel 1993 al Teatro Comunale di Ferrara per i 60 anni della Compagnia.
Veste spesso l'abito talare in diverse commedie.

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Inizia nel 1992 con la parte dell'innamorato geloso nella commedia "I Scarpiun".
Ha partecipato alla Castalda nel 1993 al Teatro Comunale di Ferrara per i 60 anni della Compagnia.
Veste spesso l'abito talare in diverse commedie.

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